Su uno dei due mobili che si trovano nella sala della biblioteca è conservato un crocifisso in bronzo su croce lignea.
Nella sua donazione il cardinale Fabroni incluse anche gli arredi e le opere d’arte che si trovavano nel suo studio a Roma. Il documento parla di “un bancone grande di legno indiano, e l’altro minore del medesimo legno”, ma non riferisce niente a proposito del crocifisso.
Del crocifisso e di una sua attribuzione ad Alessandro Algardi (Bologna 1598- Roma 1654), si ha notizia invece nei vari inventari patrimoniali della Fabroniana redatti nei secoli successivi.
In effetti se si confronta l’opera della nostra biblioteca con i lavori dell’artista bolognese, questa attribuzione è sicuramente plausibile.
Il crocifisso fabroniano ha un’altezza di cm dai piedi alla testa e si trova su una croce lignea che presenta un cartiglio con l’iscrizione” Inri”.
Dalle notizie biografiche di Alessandro Algardi, artista recentemente rivalutato in ambito nazionale ed internazionale, che è da considerare l’altro grande protagonista del barocco romano insieme al più famoso Gianlorenzo Bernini, sappiamo che all’incirca nel 1646 consegnò al papa Innocenzo X un crocifisso in argento di circa tre palmi, oggi irreperibile, ma da identificarne il modello con quello conosciuto attraverso numerose fusioni in bronzo nelle collezioni seicentesche. L’attribuzione è confermata da una netta somiglianza con un disegno incentrato sullo studio dell’anatomia del corpo di Cristo sospeso alla Croce, oggi conservato alla Galleria estense di Modena e la stessa commovente e quasi teatrale raffigurazione del soggetto di un disegno oggi conservato alla National Gallery of art di Washington.
I due disegni preparatori e le fusioni in bronzo, delle quali una conservata nella chiesa romana di S. Maria del Popolo ci mostrano elementi tipici dell’Algardi quali “l’emotività intensa ma composta dell’immagine, la lieve curvatura del corpo e la ricaduta ritmata del perizoma robustamente modellato ed aderente alla coscia sinistra, […] la struttura della testa, i riccioli piuttosto pesanti e il modo di lavorare la barba”.
Sono questi tutti elementi che ritroviamo nel crocifisso fabroniano che come tutti gli altri modelli e disegni è caratterizzato dall’uso di quattro chiodi.
Il numero dei chiodi che avevano trafitto le mani ed i piedi di Cristo fu sempre oggetto di lunghe dispute. In Italia il numero di tre venne via via affermandosi soprattutto dell’emblema dei Gesuiti. Se i piedi sono sostenuti da un solo chiodo, essi vanno necessariamente sovrapposti, fatto che tende ad aumentare la piegatura delle ginocchia e la curvatura delle gambe: forse fu questa una delle ragioni per cui Algardi preferì usarne sempre due.
Il crocifisso conservato in Fabroniana è sicuramente un esemplare importante e come quello conservato a Roma ha una finitura assai pesante che corrisponde a quella riscontrata in molti bronzi tardi dell’Algardi, come il Battesimo di Cristo, oggi conservato al Museo d’arte di Cleveland.
Come tutte le opere scultoree dell’Algardi ha un carattere più contenuto e lirico e rappresenta una sensibilità più mite che controbilancia lo stile barocco più estroverso del Bernini, altro grande interprete del Seicento romano.