Nella sala della biblioteca è conservato in alto sopra il secondo ordine di scaffali un ritratto che rappresenta il nostro cardinale.

Si tratta di un’ opera ad olio eseguita dal pittore pistoiese Gian Domenico Piastrini ( 1678-1740) molto presumibilmente nell’ultimo periodo di vita del cardinale : Carlo Agostino appare infatti molto anziano, con i capelli grigi e il volto rugoso ed incavato. E’ seduto e tiene un libro in mano, forse per ricordare il munifico gesto della donazione della sua Libreria o forse solo perché i libri erano le cose più care a cui teneva, i compagni fedeli della sua vita. Indossa la mozzetta dalla quale spunta un ampio rocchetto, mentre in testa porta il berretto a quattro spicchi.

Piastrini ebbe uno stretto legame con il nostro Fabroni ,citato sia come suo protettore e finanziatore di alcuni viaggi nel nord Italia, che come punto di contatto con il mondo artistico romano, ove ottenne un rapido inserimento nella scuola del Luti e importanti commissioni in abito ecclesiastico.

Anche a Pistoia il Fabroni fu determinante per l’attività del pittore che su commissione del nostro eseguì i quattro grandi affreschi dell’atrio della Basilica della Madonna dell’Umiltà nel 1716.

Prima di mettere a confronto l’opera della Fabroniana con altri ritratti del cardinale, è interessante sottolineare che vi sono documenti d’archivio che non ci forniscono dati certi circa l’apposizione del quadro ma che invece ci danno notizie su altri eventi ad esso legati.

Dagli Atti capitolari dell’anno 1885 si apprende che i canonici “danno la facoltà al pittore Ugo Casanova di portare nel suo studio il ritratto del Card. Fabroni esistente nella Libreria Fabroniana, per eseguirne una copia per commissione della famiglia Caselli. e da un inventario di beni si apprende ancora che il quadro in questa occasione venne restaurato da questo pittore-decoratore attivo a Pistoia tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.

Assieme al Piastrini un altro pittore fece parte della cerchia del cardinale Fabroni e Roma e ne lasciò memoria dipinta , Benedetto Luti (1666-1724).

Fiorentino di nascita e allievo di Anton Domenico Gabbiani, Luti si trasferì a Roma nel 1690, dove studiò la maniera dei grandi maestri del Cinquecento e si dedicò anche al collezionismo di quadri, stampe e manoscritti. Secondo i biografi intorno al 1704 proprio il Fabroni gli affidò l’educazione artistica del giovane pittore pistoiese Piastrini.

Una volta divenuto cardinale fu il Luti a delineare il volto del Fabroni che Jacob Frey (1681-1752) avrebbe poi inciso a bulino e che sarebbe stato stampato dalla Calcografia camerale da Domenico De Rossi.

Al Luti è attribuito, inoltre, un ritratto ad olio di medie dimensioni oggi conservato nei depositi di Palazzo Pitti.

Il personaggio, posizionato in primo piano, di tre quarti, è senza dubbio un cardinale, com’è indicato dalla veste indossata, una mozzetta rosso scarlatto, tipica mantellina portata al di sopra del talare dello stesso colore e del rocchetto bianco, di cui qui intravediamo il colletto e una manica. Sulla testa ha uno zucchetto, il copricapo di forma emisferica portato dagli ecclesiastici e variabile nel colore a seconda della carica: nel caso dei cardinali è di colore rosso, come in questo caso.

Fra le braccia tiene un oggetto che, seppur avvolto in un panno, sembra essere un libro, di cui però non vediamo il titolo. Lo sfondo scuro e non emergono decorazioni.

L’opera fu donata da Carlo Gamba alla Galleria degli Uffizi nel 1951. Il Gamba nella lettera di accompagnamento all’opera identifica il soggetto del ritratto con il cardinale Carlo Agostino Fabroni, suo antenato: la nonna del conte, Eugenia Caselli, fu infatti l’ultima discendente della famiglia Fabroni. Gamba ereditò il dipinto dalla madre, Eufrosina Gamba Caselli, che è indicata come proprietaria dell’opera nel catalogo della “Mostra del ritratto italiano” tenutasi nel 1911 a Firenze.

L’identificazione del personaggio del ritratto con il cardinale Fabroni, riportata dal conte Gamba nella lettera del 1951, fu successivamente confermata da cataloghi e inventari: in primo luogo, dall’inventario cartaceo, istituito nel 1890, e dal catalogo digitalizzato del Polo Museale di Firenze, in cui Fabroni è indicato come probabile soggetto del dipinto. In essi, inoltre, è riportato come anno d’esecuzione il 1706, l’anno nel quale quando il Fabroni fu creato cardinale

Nel 1999, il ritratto è stato menzionato nel catalogo della collezione Rospigliosi del Palazzo Pallavicini, a Roma, dove è presente anche un secondo ritratto del cardinale, anch’esso datato 1706, eseguito da Benedetto Luti.

Il confronto tra i due ritratti fa sorgere però alcuni dubbi circa l’attribuzione di entrambi al Luti.

Pur credendo difficile che il conte Gamba abbia sbagliato il riconoscimento di un antenato (errore che sarebbe stato corretto fin da tempi più antichi, all’interno della famiglia), notiamo che i tratti fisionomici dei due personaggi raffigurati sono diversi. Il cardinale del ritratto fiorentino sembra un uomo sulla quarantina (Fabroni nel 1706 dovrebbe avere 55 anni), con il volto pieno e rotondo, occhi piccoli, naso sottile e mento poco sporgente. Ha folti capelli neri e baffi sottili. Le spalle sono larghe, indicando quindi una corporatura robusta. L’espressione è serena e tranquilla. Tutto il contrario

invece il ritratto romano. Il volto è più magro, la zona occhi ampia e incavata, con occhiaie gonfie. Il mento è prominente e il naso pronunciato. I capelli sono meno folti e presentano un inizio di brizzolatura. La corporatura sembra più esile. L’espressione è più severa e trattenuta. Posto che, secondo autorevoli attribuzioni, quest’ultimo è senza ombra di dubbio il cardinale Fabroni1 ritratto a 55 anni è comprensibile avanzare dubbi sull’identità del soggetto del ritratto di Palazzo Pitti.

Confrontando i due “luti” con il ritratto della Fabroniana, notiamo che l’espressione è più

serena rispetto al dipinto rospigliosiano, ma i tratti del volto sono identici: sono

uguali le occhiaie, il naso, il mento e la bocca. La stessa analogia però non sussiste nei riguardi del ritratto fiorentino.

Come già detto, è difficile credere che il conte Gamba abbia commesso un tale errore, e ancora più incredibile appare il fatto che il dipinto sia passato in mano a vari suoi antenati, senza che nessuno si accorgesse dello sbaglio.

Un’ipotesi plausibile sarebbe quella di pensare che il ritratto sia stato eseguito postumo e che per questo motivo non rispecchi esattamente le sembianze del cardinale.

Ma rimane appunto solo un’ipotesi, non supportata da nessun documento.

Una cosa è certa, gli eredi dei Fabroni e in particolare il nipote del cardinale, l’abate Alfonso Fabroni possedeva sicuramente un quadro di Benedetto Luti. Da una scritta riportata su stampa che riproduce il busto di Carlo Agostino cardinale, disegnata dal pittore pistoiese Giuseppe Valiani e incisa da Raimondo Faucci nel 1765, apprendiamo infatti che tale opera fu dedicata al nipote del cardinale e che il soggetto era stato “preso da un quadro di Benedetto Luti esistente appresso il medesimo signor abate”.