Il Fondo Tommaso Gelli.

Il bibliofilo, ossia colui che ama i libri, non è una persona che si accontenta di comprare un libro e basta: è una persona che sa e sceglie.

Un bel libro non è solamente un oggetto prezioso, è un amico di cui si cerca la conversazione, che si consulta quando si ha bisogno o si ha voglia, che si abbandona volentieri e che si ritrova con nuovo piacere.

Certamente un bibliofilo era Tommaso Gelli, ma egli era soprattutto un uomo con un moderno senso collettivo del bene culturale perché nel 1917, questo personaggio arricchì il patrimonio librario della Fabroniana con una donazione di oltre cinquemila volumi che aveva raccolto nella sua vita.

Poche sono le notizie biografiche di Tommaso. Nato da una agiata famiglia pistoiese compì i suoi studi presso il Seminario vescovile di Prato, dove, come scriveva il vescovo Enrico Bindi legato a lui da parentela, egli poteva raccogliere ”educazione morale e letteraria” e dove sempre secondo il Bindi si distingueva per pietà, studio e disciplina.

Da Prato il Gelli si spostò a Pisa dove frequentò l’università e si laureò in giurisprudenza nel luglio 1861.

Successivamente esercitò la professione di avvocato a Pistoia, partecipando alla vita culturale e civile della città assieme al fratello Antonio.

Quest’ultimo è un personaggio che merita un ricordo, seppur breve.

Organizzatore e vice-presidente della interessantissima Esposizione d’Arte antica del 1899, fu collezionista di oggetti d’arte e fu attivissimo nella vita politica e amministrativa della città. Alla sua morte, nel 1916, lasciò alla Congregazione di Carità di Pistoia e al Comune, centomila lire più l’orto di S. Desiderio lungo il Viale Arcadia, perché con i proventi si costruisse una casa da destinare ad una famiglia operaia povera.

Tale munifica disposizione suscitò sentimenti di ammirazione e di profonda riconoscenza a Pistoia.

Anche Tommaso, anche per la sua professione fu molto stimato in città, fu socio del “Bullettino Storico Pistoiese”, fratello della Arciconfraterinta della Misericordia e uno dei fondatori assieme al fratello della Cassa di Risparmio.

Sposò Livia Branchi ma non ebbe figli e morì a Pistoia nella sua casa in via Pacini il 27 aprile 1917. Solenni funerali furono disposti dall’autorità cittadina in San Bartolomeo con l’estremo saluto del sindaco.

Nel testamento, redatto nell’aprile 1908 l’avvovcato Gelli non tralasciò nessuno. Oltre ai numerosi parenti, tra i quali le figlie del fratello Antonio, nominate eredi universali, lasciò delle proprietà anche il suo fidato servitore e naturalmente a molte istituzioni assistenziali pistoiesi. Così vennero devolute duemila lire al ricovero di mendicità Vittorio Emanuele Secondo, duecento all’asilo infantile Regina Margherita e altrettante al “Refugio” delle fanciulle abbandonate ed infine duemila lire ai “veri poveri” del popolo di Candeglia, paese nel quale egli possedeva una imponente villa e nel quale cimitero desiderò essere sepolto dopo la sua morte.

Ma il testamento è un documento per noi assai importante in quanto in esso vengono espresse volontà circa la donazione delle sue collezioni.

Leggiamo:

Essendo la modesta mia collezione numismatica messa insieme con spese, studi e ricerche, e che dovrà essere inalienabile, al Comune di Pistoia, sempre però che eseguisca il promesso Museo in luogo decente e sicuro ponendo cura di assicurale da possibili malversazioni.

La mia libreria, prelevate le opere di numismatica che dovranno essere date al Comune, come corredo della collezione suddetta, la lascio a titolo di legato alla Biblioteca Fabroniana di Pistoia raccomandando che non venga dispersa, né completata essendovi molte opere storiche rare, ed altri libri non comuni

Quindi il Gelli divise le sue donazioni.

Da una parte la collezione di monete, assieme alle opere a stampa ad esse attinenti al Comune e dall’altra la collezione libraria alla Fabroniana.

Anche se in questo studio siamo interessati alla raccolta libraria dell’avvocato pistoiese, merita un breve cenno la pregiata collezione numismatica ancor oggi conservata presso il locale museo civico.

Presentato in una sala della già citata mostra d’arte antica del 1899, il “Medagliere Gelli” fu illustrato da un rarissimo Catalogo delle Monete e Medaglie componenti la collezione del Cav. Avv. Tommaso Gelli di Pistoia, da lui stesso redatto con singolare competenza e arricchito fino alla sua morte con altre pregevoli monete imperiali, pontificie coniate in ogni parte dell’Europa.

Per quanto riguarda invece la raccolta libraria il Gelli, tolti i libri attinenti la numismatica, donò nel 1917 tutta la libreria che aveva raccolto nella sua casa e subito dopo la morte gli eredi concessero alla Fabroniana anche gli scaffali che la contenevano, facendo sì che i libri fossero sistemati nella Biblioteca con la stessa impostazione data dal collezionista.

Una volta approvata la consegna della libreria da parte degli eredi del Gelli, si pose il problema della sua collocazione. A tal proposito negli Atti Capitolari si riferisce il parere dell’ingegnere Paolo Baldi che riteneva non consono “ scegliere e riadattare a tal scopo la sala d’ingresso alla Biblioteca, mentre possono esser usati i mezzanini sottostanti i quali colla economica demolizione dei divisori interni si trasformano in ampia sala bene adatta per collocarvi non solo la libreria Gelli, ma altre ancora quando vengano donate”.

Oltre agli arredi lignei, giunsero alla Fabroniana due interessantissimi cataloghi a schede per autore e titolo compilati dallo stesso Tommaso.

Le schede manoscritte recano in alto l’intestazione a stampa “Libreria Avv. Tommaso Gelli” e rivelano una encomiabile ‘professionalità’, da- diremo oggi- da catalogatore; sono indicati autore, titolo, formato, data e luogo di stampa, collocazione sempre con precisione.

Ma a tanto lavoro compilativo il Gelli aggiunse qualcosa che fa della sua catalogazione un oggetto prezioso per gli studiosi. Nella parte sottostante le indicazioni di titolo e responsabilità vi sono annotazioni sulla rarità del testo in oggetto, del tipo “assai rara”, “rarissima”, “Edizione di Crusca” e spesso sono riportano appunti sulla quotazione monetaria del testo rilevata sui principali cataloghi di edizioni librarie del tempo.

Annotazioni simili le troviamo anche in numerosissimi foglietti disseminati all’interno dei volumi, dove spesso il nostro Gelli si lasciava andare anche a ‘giudizi’ letterari sull’opera o trascriveva i commenti e le recensioni di importanti storici e critici.

Ad esempio all’interno di una pregevole edizione del XVI secolo, stampata a Firenze dai Giunta dal titolo “Istorie avvenute in Toscana” troviamo le seguenti annotazioni:

Il Dondori, erroneamente attribuisce le Storie pistolesi anonime stampate la prima volta in Firenze dai Giunta l’anno 1578, ad un certo canonico Zanobino, che non è mai esistito, fuori che nella immaginazione di quelli, che non avvedendosi dell’errore lo ascrissero tra li storici pistoiesi”

ed ancora:

Nella prima metà del Trecento s’incontrano i primi monumenti della lingua volgare usata in questa città (Pistoia); e sono le celebri Istorie Pistolesi. In mezzo all’infuriare della critica, esse non solo hanno resistito a tutti i sospetti, ma della loro veridicità si è palesata in modo sempre più evidente e sicuro. Manca ancora una edizione, modernamente perfetta, di questo principalissimo fra i testi pistoiesi

Ed infine

….Raro –lire 25 Razzolini – Lire venti Bacchi – …

Carte 12. non numerate in principio col frontespizio: la dedica degli stampatori al Gran Duca di Toscana, la prefazione e due tavole….

Assai significativo è poi un foglietto che l’avvocato Tommaso pose all’interno di un volume che riporta l’inventario della biblioteca di paolo Borghese e che rivela la sua infinita passione per i libri. Amareggiato dalla vendita della biblioteca scrive queste parole:

Una vendita, la quale non men della prima (quella dei mobili) affligge il cuore, è quella della celebre Biblioteca Borghese. Dopo disperso al mondo quello che dovea servire al lusso della vita materiale, ecco sminuzzato in mille atomi un’altra non men preziosa la suppellettile che dovea servire la vita intellettuale: ossia anche i tesori di libri accumulati in quella biblioteca da Paolo V Borghese fin dal principio del 600 e accresciuti da una serie di Principi munificentissimi fino a noi, subiranno il fato delle cose umane

Il Gelli continua poi riportando notizie sulla formazione della biblioteca Borghese e suggerisce a “ chi volesse farsene un concetto meno inadeguato” di prendere in mano il catalogo scritto in francese per “comodità dei letterati europei”, un catalogo sottolinea uscito con una elegantissima edizione romana “ edizione illustrata con quaranta incisioni di zincotipia”.

Tra le schede del catalogo cartaceo esistono infine alcune carte che attestano l’atto di vendita di alcuni dei libri da parte di Librerie antiquarie e in alcuni armadi posti sotto gli scaffali della libreria vi sono numerosi cataloghi di Librerie antiquarie, fiorentine e non, di fine Ottocento.

Anche i timbri e gli ex libris attestano che molte edizioni furono acquistate dal Gelli presso famose Librerie, mentre molte edizioni furono regalate all’avvocato da amici, forse anche da colleghi o clienti, ed anche spesse volte dagli stessi autori dei testi.

Nella collezione del Gelli sono presenti ben undici incunaboli e ben trecentoquarantatre cinque centine, ma il patrimonio librario è composto in massima parte di opere di secoli diversi che vanno dal XVII al XIX secolo.

La parte più cospicua riguarda testi di storia locale, di storia della Toscana e di storia delle città italiane, molte sono anche le biografie di personaggi famosi e le agiografie.

Una parte della collezione è attinente alla formazione scolastica del Gelli, con dizionari ottocenteschi, collane di classici italiani e latini, altre riguardano l’ambito professionale di Tommaso e presentano opere di diritto civile e penale o opere di giurisprudenza generali, come la Storia del diritto del Filangeri.

Vi sono poi ricche collezioni di opere a carattere enciclopedico, come la Storia Universale scritta da Cesare Cantù o la Storia Universale della Chiesa cattolica dell’Abate Rohrbacher e la Biographie universelle des Musiciens et bibliograohie generale de la Musique.

La storia certamente fa da padrona, specialmente quella italiana e in particolare quella del Granducato prima e della Toscana poi , nella collezione del Gelli non mancano pregevoli edizioni del Guicciardini, del Sarpi, è presente l’opera dello Zobi e dell’Inghirami, ma non mancano nemmeno opere filosofiche di Kant, di Gioberti, così come la letteratura classica presenta rarissime copie dell’opera del Ariosto o dell’Alamanni.

Dal punto di vista strettamente numerico la consistenza del fondo è di tremila ottocento venti volumi tra i quali sono raccolte più di un unità e sessantuno miscellanee non rilegate in volume che contengono un totale di 1279 unità databili tra il XVI e il XX secolo.

Di queste miscellanee gran parte contengono edizioni riguardanti eventi, come nozze o morti di personaggi pistoiesi contemporanei al Gelli, addirittura piccoli stampati di una o due carte, introvabili in altre realtà bibliotecarie. Altri esemplari forse oggi unici, sono costituiti da testi di storia locale stampati da tipografie pistoiesi e non tra la fine dell’ottocento e gli inizi del Novecento, testi su monumenti, poeti e letterati, su inaugurazioni, …. che risultano di primaria importanza per qualsiasi studioso affronti quel periodo della storia della nostra città.

Il Gelli, insomma, non era solo un raffinato ed erudito bibliofilo, che disponeva di un patrimonio tale da permettere l’acquisto di pregevoli e assai care edizioni, era un collezionista ‘per costituzione’, un uomo che raccoglieva ordinatamente, secondo un criterio e che scegliendo gli oggetti da conservare libri e monete ha contribuito a conservare la memoria storica.

Memoria di persone e di fatti, memoria di usi e costumi, memoria di luoghi, come abbiamo visto con la collezione di testi sulle città, memoria di eventi celebrativi e memoria di uomini illustri immortalati nelle monete e nelle splendide medaglie.

 

Il Fondo Nerucci

Molto, specialmente in questi ultimi anni, è stato scritto su Gherando Nerucci (1828-1906)

ma pochi forse sanno che nella Fabroniana sono conservati una trentina di testi della biblioteca di questo illustre personaggio.

Nerucci nato a Pistoia, apparteneva alla generazione di mezzo, nata sul finire degli anni Venti dell’Ottocento, che aveva ben poco respirato la diatriba politico-letteraria tra classici e romantici e che, invece, aveva vissuto nel periodo risorgimentale e combattuto, anche, nelle giornate del 1848 e poi aveva avuto la possibilità di ritirarsi dalla vita pubblica e, con una solida formazione umanistica , laica e avvocatesca era andato ad abitare in distaccata e signorile solitudine a Montale nella Villa di Malcalo.

La vita di Nerucci è, in qualche modo, esemplare della condizione degli intellettuali risorgimentali a Pistoia, passato in un tempo sostanzialmente breve da un impetuoso interventismo certo non municipale ad un isolamento e quin­di ad un ripiegamento che potremmo senz’altro definire storico.

Era figlio di Ferdinando, funzionario di dogana, discendente da famiglia nobile di Montale, e di Elisabetta dei mar­chesi Niccolini di Firenze.

Allievo, con il fratello Neruccio, di Giuseppe Tigri dal 1837, nel 1844 si era iscritto all’università di Pisa ai corsi di Diritto, seguendo la professione forense tipica degli esponenti della società laica non solo pistoiese.

Da Pisa nel 1848 era partito per partecipare alla spedizione a Curtatone e Montanara.

Una volta laureato, dopo un po’ di pratica di avvocatura a Roma e Firenze, aveva iniziato a collaborare con articoli teatrali e linguistici a vari periodici del capoluogo e aveva partecipato quindi alle sollevazioni contro il granduca. È in questo periodo che Nerucci era entrato in contatto con i maggiori folkloristi del tempo, e iniziato le sue ricerche in territorio montalese, dove nel frattempo, sposatosi nel 1871 con l’inglese Fanny Caroline Chambers, si era trasferito. Lì si era occupato anche della guardia nazionale, fino al suo scioglimento e aveva intanto, tempo prima, fondato una Società privata per la Scuola notturna rura­le.

E’ nel totale isolamento nella vita culturale locale ,solo in contatto epistolare con alcuni letterati italiani, che Nerucci scrisse le Sessanta novelle, che lo resero celebre e che sono considerate dai maggiori studiosi un caso unico nel panorama folklorico della seconda metà dell’Ottocento.

Nelle sue Novelle, ammirate da personaggi come Italo Calvino, che ne tradusse in italiano alcune, Nerucci riusciva a riprendere le fiabe e le novelle degli agricoltori e delle vecchiette, adattarle linguisticamente ad un vernacolo locale e rielaborarle fino a renderle leggibili da chiunque in una prosa ricca di sapienza narrativa.

Negli ultimi anni della sua vita Nerucci si dedicò alla memorialistica storica , riprese in mano documenti e cimeli della sua partecipazione agli eventi del 1848, dando vita ai Ricordi del battaglione Universitario Toscano, pubblicati a Pistoia nel 1905.

Tra i libri conservati alla Fabroniana oltre al testo sopra citato, sono presenti, una serie di volumi tra i quali alcune opere del Cinquecento in edizioni pregevoli. Tra queste segnaliamo l’edizione delle Lettere Di Don Antonio Di Guevara stampata a Venezia nel 1575 dal tipografo Vincenzo Valgrisi. L’opera oltre ai timbri che caratterizzano le collezioni del Nerucci, reca anche un ‘teichetta con la scritta Liber G. Nerucci/ peculio suo quasi-castren./emptus seguita dall’annotazione manoscritta: Piuttosto raro; pregevole per cultura, la data di stampa, la rilegatura antica.

Sempre tra i volumi del letterato montalese compaiono opere che molto probabilmente egli aveva ereditato dalla famiglia. Troviamo infatti un testo settecentesco su Santa Teresa appartenuto ad un certo Angiolo Nerucci, prete di S. Giovanni Fuorcivitas e alcuni manoscritti appartenuti al padre di Gherardo, Fernando e ad altri personaggi di casa.

Se mancano documenti che attestino l’entrata del fondo nella Fabroniana è invece presente a corredo dei volumi, un ritratto di Gherardo Nerucci a ricordo dell’appartenenza al Battaglione Universitario Toscano, che in basso a destra reca la scritta “G. Nerucci 1896 donò”.

Il Fondo Vannozzi

Nel fondo dei manoscritti della Fabroniana si trova un gruppo di manoscritti miscellanei distribuiti in trentuno tomi, contraddistinti da una segnatura che rivela una composizione seriale in trentasei tomi, come risulta codice 235 che è l’indice di questo materiale.

Già il Mazzatinti nella redazione del suo inventario rilevò la mancanza di cinque tomi, descrisse gli altri sommariamente senza indicare il nome del loro possessore.

Ad un’analisi più attenta si nota che tutti i trentuno tomi appartengono ad un importante personaggio pistoiese : Bonifacio Vannozzi.

Il Vannozzi, nacque a Pistoia nel 1549 e morì a Roma nel 1621. Noto come colto scrittore in prosa fu valente Segretario del Legato Caetani e svolse un’importante missione presso il gran Cancelliere di Polonia, ma viaggio per tutta l’Europa e visse in moltissime città italiane.

Sua opera fondamentale che costituisce tra l’altro una fonte indispensabile per ricostruirne una biografia sono le Lettere Miscellanee, pubblicate in tre volumi tra il 1606 e il 1617.

Tra i manoscritti appartenuti al Vannozzi, ora nel fondo della Fabroniana si segnalano: una delle tre copie esistenti del “Ristretto” della sua negoziazione in Polonia, minute e lettere autografe, relazioni di ambasciatori veneti, relazioni sui conclavi, da quello di Niccolo V a quello di Urbano VIII, istruzioni ai pontefici, lettere varie di personaggi a lui legati, discorsi e orazioni varie.

Oltre a questo nutrito gruppo di manoscritti esistono in Biblioteca una serie di volumi a stampa che appartenevano al Vannozzi.

Questi volumi non si trovano riuniti in un unico settore, ma sono sparsi nelle scaffalature della biblioteca in base all’argomento del quale trattano, ma sono riconoscibili per un motto che li contraddistingue: “m’è più caro morir che viver senza”.Questa annotazione manoscritta assieme alcune volte alla scritta “Bonifacio Vannozzi”, denota una passione non comune per i libri, che sicuramente il Vannozzi considerava cari ed inseparabili compagni da cui non poteva allontanarsi.

Tra i volumi si segnalano più di cinquanta edizioni del’500, secolo nel quale Bonifacio visse, assai rare e pregevoli, di argomento vario.

I testi trattano di temi religiosi, ci sono molti testi letterari, ma sono presenti anche opere scientifiche, ad esempio sulla meteorologia e alcune opere a carattere militare.

Non sappiamo come i volumi del Vannozzi arrivarono in Fabroniana, molto probabilmente il cardinale Fabroni riuscì venirne in possesso a Roma, dove il Vannozzi ricoprì importanti cariche presso la corte papale e dove morì, ma anche provenire direttamente da un lascito pistoiese, visto che a Pistoia, non solo il Vannozzi nacque, ma tornò, come ricaviamo dall’epistolario, spesse volte per godere l’agio delle villeggiature in casa di amici.

Dalle Lettere sopra citate sappiamo invece che molti dei suoi volumi della sua biblioteca giunsero a Firenze mentre si trovava nella città come segretario del principe Francesco (1610) e si mescolarono con quelli della libreria granducale.