La pratica del restauro librario si diffuse parallelamente alla diffusione della stampa e con il moltiplicarsi delle biblioteche a partire dall’età umanistico-rinascimentale , divenne una pratica usuale della loro vita e gestione.

Si ha notizia di incarichi di restauratori librari alla Biblioteca Apostolica Vaticana già alla metà del Cinquecento.

Angelo Rocca, poi, nella sua descrizione della Biblioteca rinnovata da Sisto V, dedicò un capitolo alla conservazione del materiale librario.Riprendendo le teorie vitruviane, il Rocca sosteneva che le biblioteche dovevano essere rivolte ad oriente non solo per consentire agli studiosi una migliore lettura, ma perché la luce aveva influenze positive sulla conservazione dei libri.

Inoltre affrontava il problema della lotta agli insetti, prescrivendo la periodica spolveratura dei volumi, perche la polvere è luogo favorevole per lo sviluppo di insetti e parassiti e riprendendo passi della Naturalis Historia di Plinio consigliava di mettere all’interno dei volumi foglie di cedro essiccate.

Da quanto si ricava dai registri di amministrazione della Biblioteca Fabroniana nei secoli non si dovettero presentare grossi problemi di conservazione e restauro librario.Non ci sono ad esempio spese per l’acquisto di verderame, usato contro i tarli o di altre sostanze come colle o resine usate per i topi. Non viene nemmeno preso in esame molte volte il problema della spolverartura dei volumi, si parla ad esempio di “canovacci per spolverare” ma non si ha notizie di scope di coda di volpe o simili utilizzate di solito per una migliore pulizia del materiale librario.

Nei primi anni di gestione della biblioteca da parte dei padri filippini si registrano “spese minute per resarcire libri, cioè allume, carta, sapone e altro”

Successivamente, con il passare del tempo, i rendono necessari interventi più importanti.

In una nota riferita al 1806 ad esempio si legge:

“Essendo stati quindi osservati da Monsignor Vescovo i libri specialmente quelli che sono più pregevoli per la loro rarità ordinò al Bibliotecario, assieme con […] i Padri amministratori di far restaurare molti che fu osservato esser bisognosi.o di nuova legatura, o di nuova coperta et in special maniera un Evangeliario Greco in cartapecora, la Poliglotta di Valton, l’atrante blaviano. E il Plotino di Marsilio Ficino in cartapecora”

Molti degli interventi di restauro librario che si ripetono nei registri anche degli anni seguenti riguardano la “ricopertura” dei piatti, o addirittura solo la loro “ritintura”.

Nei conti dei librai-restauratori si parla spesso dell’uso delle “culatte” in carta pecora, o de l’uso delle legature a fondello.

Questo tipo di intervento consisteva nel sostituire soltanto il dorso danneggiato del volume con uno nuovo, posto a sormontare i piatti originali o talvolta inserito sul piatto al di sotto del materiale che rivestiva la legatura.

Mentre nel corso del settecento e nei primi decenni dell’Ottocento i registri contabili rivelano un pagamento a librai esterni per lavori di restauro o “accomodature” dei libri, si parla ad esempio di Antonio Gatti, Michele Signori e Domenico Coli, da una lettera datata 31 luglio 1905 sembra che in quel periodo esistesse addirittura un laboratorio di restauro interno alla Fabroniana.

La lettera firmata dal Bibliotecario, il sacerdote Gaetano Gai e dal custode Zeffiro Vivaldi parla della consegna al Canonico Alfonso Camilli, proposto della Cattedrale di “oggetti e attrezzi riguardante l’arte del legatore di libri che si trovano in una stanza sottoposta [alla] biblioteca.”

Si tratta nello specifico di oggetti “ N° 106 con manico N° 13 senza manico e N° 3 rotelle con lungo manico e N° 1 lustrino a lungo manico”.